Elvira Luisa Morassi Bernardis


Elvira Luisa Morassi Bernardis, architetto, fotografata da Pillon

INTERVISTA A ELVIRA LUISA MORASSI BERNARDIS, ARCHITETTO, LA PRIMA DONNA LAUREATA AL POLITECNICO DI MILANO
di Laura Colussi

Gorizia, 8 febbraio 1999: suono il campanello della villa della famiglia Morassi in Corso Italia e apro il cancello esterno, entrando nel giardino. Avvicinandomi alla casa, ho il tempo per dare una veloce occhiata alla sua architettura d’altri tempi e al verde curato che la circonda. Quando giungo alla porta d’ingresso del piano terra, questa si apre e una distinta signora mi sorride, mi invita ad entrare e mi fa accomodare nel salotto dove ci sediamo attorno ad un tavolo. Quello che non posso fare a meno di notare è la vivezza dell’espressione dei suoi occhi, di un azzurro intenso. Al principio vi è un po’ di imbarazzo, ma lo superiamo concentrandoci sullo scopo della mia visita e diamo inizio all’intervista, che riporto qui di seguito.
D: – So che non è educato chiedere l’età ad una signora, ma mi vedo costretta a farlo. Mi può dire quando è nata?
R: – Sono arrivata ad un’età in cui non mi è più possibile nascondere i miei anni, che si vedono ormai tutti (- non sono d’accordo -). Quest’anno compio 96 anni, sono nata il 22 luglio del 1903.
D: – Si è laureata a Milano e se non sbaglio è stata la prima donna a laurearsi in architettura in quella sede. Ci racconti come era l’ambiente universitario a quel tempo e se talvolta ha avuto la sensazione che gli insegnanti avessero un atteggiamento diverso nei confronti suoi e delle altre donne che seguivano il suo corso.
R: – Mi sono laureata nel 1926 ed effettivamente sono stata la prima donna a laurearmi al Politecnico di Milano. Frequentava il mio stesso corso anche un’altra ragazza, che però mi risulta non abbia mai portato a termine gli studi. Anche a Gorizia sono stata la prima donna architetto. All’università di allora gli studenti in architettura erano ben seguiti in quanto molto pochi, anche se molte materie erano in comune con gli ingegneri. Questi al principio erano più numerosi, ma già al secondo anno, il loro numero si dimezzava! Per dare un’idea dell’esiguità del nostro numero basti pensare che gli ultimi tre corsi venivano riuniti assieme, in una sola aula. L’atmosfera che si respirava non poteva essere migliore; vi era una grande collegialità, un grande spirito di collaborazione e solidarietà. Il ricordo di quegli anni, è sicuramente positivo. Anche con i docenti avevamo instaurato un buon rapporto; ricordo, ad esempio, un episodio divertente accaduto quando il professore della mia sezione, l’arch. Piero Portaluppi (1888 – 1967), presidente del Rotary Club di Milano, venne invitato ad una cena del Rotary Club di Gorizia. Egli, sapendo che abitavo in questa città, nell’accettare l’invito pose come condizione di potermi portare con sé. Fu così che fui anche la prima donna ad essere ammessa a partecipare ad una cena di quel circolo maschile fino ad allora così esclusivo.
D: – Quali sono stati i suoi primi passi e, in seguito, le principali tappe della sua carriera? Lei si è anche sposata ed è diventata madre di due figli; come è riuscita a conciliare l’impegno familiare con quello professionale?
R: – Già durante l’ultimo anno di università frequentavo lo studio di Gio Ponti, dove ho continuato a lavorare anche dopo la laurea, specialmente nel settore dell’arredamento d’interni. Allora eravamo solo in due nello studio di Ponti: io ed un ingegnere. Oltre a disegnare per lui nel campo dell’edilizia, era soprattutto quando arrivava qualche committente con un’esigenza particolare per l’arredo che Ponti si rivolgeva a me, affidandomi il compito di interpretarne i desideri. Naturalmente per tutto il periodo durante il quale ho lavorato per lui, ho dovuto cercare di mantenermi in linea con quello che era il suo stile; uno stile molto personale e caratteristico da cui però in seguito mi sono totalmente distaccata, seguendo una mia strada. Direi proprio che nei miei lavori successivi non si può rintracciare alcuna traccia del lavoro di quegli anni. Dopo la laurea e dopo aver lavorato in un altro studio, mi sono anche trasferita per un periodo a Parigi, per venire a contatto con quelle che erano le novità dell’architettura contemporanea. Lì ho potuto conoscere numerosi artisti goriziani e delle nostre zone, soprattutto pittori, come Pillon, il quale mi ha fatto il ritratto che vede appeso nel mio salotto, oltre ad un certo numero di fotografie, che mi ha scattato più tardi quando è diventato anche fotografo artistico (- sua è la foto dell’architetto che riportiamo -). Il fervente mondo parigino mi affascinava, vi sarei rimasta volentieri, ma dovetti tornare per volere di mio padre. Tornata a Gorizia ebbi l’incarico dalle Piccole Industrie per la gestione della Bottega d’Arte, situata in Corso Italia, dove si allestivano periodicamente mostre di oggetti dell’artigianato locale da me scelti, come mobili, pizzi, prodotti in ferro, eccetera. Del mio operato erano molto soddisfatti gli artigiani che ricevevano un notevole numero di richieste e di commissioni di lavori. Quando mi sposai e nacquero i miei figli riuscii a mantenere i rapporti con quest’ambiente, seppure più di rado almeno per il primo periodo. Ricordo che il presidente degli artigiani veniva a casa mia a chiedermi pareri e consigli. Ho sempre mantenuto proficui contatti con gli artigiani locali, i quali in quegli anni vinsero il primo premio alla Mostra dell’Artigianato a Firenze. Nel frattempo ottenni l’incarico per l’insegnamento alla Scuola d’Arte (poi Istituto Statale), dove avevo la direzione artistica dei laboratori del legno. In questa scuola lavorai fino a settant’anni, continuando a progettare nel settore dell’arredamento. Pur mantenendo vivo l’interesse anche per il settore dell’edilizia – per dieci anni, tra l’altro, feci parte della Commissione Edilizia accanto a Max Fabiani, persona di cui ho un carissimo ricordo, mio grande amico e consigliere – questo è stato infatti il campo d’azione che ho sempre privilegiato. Nacquero così nel corso degli anni i progetti per l’arredamento della Cappella Mortuaria del Cimitero di Gorizia, della Biblioteca dell’Istituto Psichiatrico, per l’arredamento di un salone della Provincia e di una sala della Camera di Commercio della nostra città.

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